Pubblicato il 6 Febbraio 2018Ultimo Aggiornamento: 20 Settembre 2021

Gli italiani fanno così: fanno cose dal dubbio livello di desiderabilità sociale e poi lo negano spudoratamente. È una cosa che facciamo tutti, sappiamo che gli altri fanno, sappiamo che gli altri sanno che noi sappiamo ecc ecc. Succede per le dita nel naso, succede per le elezioni (quello? E chi l’ha votato? Di certo non io, io neanche, ah beh neppure io, eppure quello ha vinto, chissà come mai), succede per Sanremo!
Eh, cari i miei italiani, è inutile che fate finta di nulla, ruotando la testa con aria indifferente. Ogni anno la stessa storia: io Sanremo non lo guardo. E ogni anno il Festival sfiora e a volte supera il 50% di share. Chissàcomemai, chissà. Allora, dato che i numeri parlano e parlano chiaro, abbiamo mandato Sanremo in analisi. E fatto un po’ di data storytelling come piace a noi. Pronti?

Lo storytelling di Sanremo: i numeri che raccontano una storia italiana

Lo sappiamo, vi aspettavate la DataViz del mese, ma ci scuserete se per febbraio mettiamo in pausa la rubrica: l’appuntamento dedicato alle visualizzazioni efficaci questa volta capitava a ridosso di Sanremo. E sappiamo bene che Sanremo è un appuntamento fisso per un bel po’ di italiani: del resto in tanti guardano il Festival…
La miglior difesa è l’attacco e quindi, prima ancora che qualcuno si metta a dire agitando il dito in aria “sì però lo share del 50% non vuol mica dire che un italiano su due guarda il Festival”, lo premettiamo noi. No, non vuol dire questo. Però un italiano su sei, sì. Eh già perché, a quanto dicono i numeri, negli ultimi 20 anni il festival è stato seguito in media tra i 10 e gli 11 milioni di italiani ogni volta (10.768.531, per la precisione). Sempre meno mano a mano che il tempo passa, eppure il festival tiene botta.

Questa deliziooooosa infografica parla chiaro: l’interesse negli anni è diminuito, eppure i numeri restano i più alti di qualunque altra programma televisivo nazionale. A riprova del fatto che, ci piaccia o meno, Sanremo accomuna gli italiani come solo la pasta e la pizza sanno fare. E sul palco dell’Ariston è passata e continua a passare un pezzo di memoria collettiva. Per questo, con un italiano su sei dalla nostra (che poi significa più del 17%, potremmo fondare il partito di Sanremo e avere ottime probabilità di finire in parlamento) abbiamo deciso di lanciarci e raccontare il Festival più famoso d’Italia e farlo secondo il nostro stile, attraverso i numeri. È il Data Storytelling di Sanremo: canta conta che ti passa.

Cosa abbiamo fatto? Nulla di tanto complicato, in realtà: siamo andati sulla pagina di Wikipedia dedicata a Sanremo, che contiene tutte le informazioni possibili sulla storia del Festival dall’inizio ad oggi. Abbiamo trasferito tutti quei dati su Excel. Li abbiamo analizzati, mettendoli su grafico, e tirato fuori un bel po’ di informazioni aggiuntive. Infine, abbiamo lavorato un po’ sulla data visualization. Ovviamente, poiché siamo banali e prevedibili, ci siamo buttati subito sui record. Se sfogliando la lista degli artisti in gara quest’anno qualche nome vi ha fatto esclamare “di nuovo?” non ci meravigliamo: Ron torna al Festival per l’ottava volta, Ornella Vanoni per la nona. Eppure c’è chi, negli anni, ha saputo fare molto, ma davvero molto di più.

Eccoli lì, in cima alla classifica. Al Bano, Peppino di Capri, Toto Cutugno e Milva: sono i quattro artisti che per ben 15 volte sono saliti sul palco dell’Ariston. L’esclusione dal Festival del 2013 relega invece Anna Oxa al secondo posto: “solo” 14 edizioni di Sanremo per lei, seguita da Fausto Leali e Claudio Villa (13 ciascuno). Eppure tante partecipazioni non garantiscono la vittoria. È il caso esemplare di Milva: 15 festival, mai un trionfo. E, a proposito di record, come dimenticare l’ormai famosa maledizione del secondo posto di Toto Cutugno? È riuscito a conquistare il secondo gradino del podio per ben 6 volte, 4 delle quali di fila, nel 1987, 1988, 1989 e 1990. E allora chi ha vinto? Anzi, chi ha vinto più spesso? Potremmo rispondere affidandoci alla memoria o, in alternativa, al data storytelling.

Volare, Dio come ti amo, Buongiorno tristezza: fanno parte del repertorio di tutti gli italiani, e non è un caso. Sono Claudio Villa e Domenico Modugno, a pari merito, ad aver vinto il primo premio più di chiunque altro. E una volta lo vinsero insieme: era il 1962 e la canzone era “Addio… addio”. Iva Zanicchi, per tre volte al primo posto, è invece la donna ad aver fatto meglio al Festival. Non che ci voglia poi molto.
Tasto dolente: la disparità sanremese tra uomini e donne. Eh sì perché, se data storytelling dev’essere, che lo sia fino in fondo. Negli ultimi mesi se ne parla tantissimo: la questione della disparità tra i sessi nel mondo dello spettacolo (e non solo) è un argomento particolarmente discusso. Dati alla mano, evidentemente anche Sanremo non fa eccezione. Ci siamo chiesti quanti uomini e quante donne avessero vinto nelle 67 edizioni finora tenutesi e la risposta non è esattamente rincuorante. Per tirare fuori questo dato, abbiamo dovuto prima sciogliere un dubbio: come considerare i duo che spesso si sono presentati in gara? E i gruppi? Era giusto creare una categoria a parte? Siamo giunti alla conclusione che, se il Festival era stato vinto da una coppia o un gruppo interamente formato da uomini, era giusto assegnare la vittoria alla categoria maschile, e così uguale per le donne. Sotto la voce “entrambi”, quindi, sono presenti festival in cui a ritirare il primo premio c’erano almeno un uomo ed almeno una donna.

Tanto premesso, i numeri parlano chiaro: per 38 volte a vincere Sanremo sono stati uomini, solo 16 volte la vittoria è stata tutta al femminile. Meno della metà, quindi. I dati, del resto, non sono poi così sorprendenti, se messi in relazione con le partecipazioni al Festival. Basti pensare che quest’anno le artiste in gara saranno solo 4. Gli uomini invece, considerando solisti, coppie e componenti delle band, saranno ben 38. Non che gli anni precedenti le cose fossero molto più rosee: 9 donne e 15 uomini nel 2017, 8 a 27 nel 2016.
Il Festival di Sanremo è davvero sessista? I dati sulla conduzione sembrano confermare la cosa. Sessantasette edizioni alle spalle, e le donne ad aver condotto il Festival come principali presentatrici (senza fare le vallette, insomma) sono solo 4: Loretta Goggi, Raffella Carrà, Simona Ventura e Antonella Clerici. E anche quest’anno, la storia si ripete: al comando c’è Baglioni (al suo primo Festival), che a quanto pare sta prendendo lezioni da chi di Sanremo ne ha condotto più di uno.

 

Fare Data Storytelling significa raccontare una storia con i numeri. E se la storia di Sanremo l’hanno raccontata principalmente in due, anche i loro numeri crescono a dismisura. 13 è il numero di Pippo Baudo: le volte che è salito sul palco per presentare la kermesse più amata d’Italia. Mike Bongiorno, invece, si è fermato ad un pur rispettabilissimo 11. Segue Filogamo con 5 e poi Fabio Fazio, che già aveva avuto il merito – lo ricordiamo – di aver condotto i due Festival con gli ascolti più alti degli ultimi vent’anni.

Ovviamente, non è mica tutto qui. Con 67 edizioni di Sanremo (e la sessantottesima che si appresta a cominciare), i numeri da snocciolare sarebbero milioni. Quanto incidono i talent sulla composizione dei cantanti in gara? Quante possibilità ci sono che un cantante alla sua prima volta tra i Big riesca a vincere il festival? (È successo 31 volte). Qual è l’età media dei partecipanti? Quante volte ha vinto un over 50? Quanto impatta il televoto sulla classifica finale?

Di data analytics, volendo, se ne potrebbe fare eccome. Ma il nostro obiettivo era diverso. L’obiettivo, stavolta, era mostrare la potenza del data storytelling. Mostrare come si possa raccontare qualcosa attraverso i numeri. Dimostrare come sia possibile e addirittura bello far parlare i dati e fargli raccontare una storia, qualunque si voglia. Che sia un programma tv (l’abbiamo fatto anche con Masterchef, ricordi?) o un business aziendale.

Attraverso i dati, per arrivare alla comprensione (e poi, si spera, l’azione). È questa, del resto, la nostra filosofia.

 

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Noemi Speciale

Un articolo scritto da Noemi Speciale