Pubblicato il 22 Febbraio 2018Ultimo Aggiornamento: 4 Ottobre 2021

Chi ha l’ingrato (o affascinante, dipende dai punti di vista: ma spesso entrambi contemporaneamente) compito di occuparsi a vario titolo di analisi di dati, lo sa bene: il momento in cui bisogna reportare può essere veramente un inferno. La situazione solitamente è questa: abbiamo passato intere giornate (e nottate, sigh) a raccogliere dati, analizzarli, individuare variabili, andamenti, a cercare di dedurne risultati e, quando alla fine abbiamo fatto tutto ciò che andava fatto, ci ritroviamo a dover fare ordine nella mole di carte, grafici, appunti, numeri, per provare a fare chiarezza. L’obiettivo ultimo è sempre lo stesso: raccontare efficacemente i dati. Creare, cioè, un report che sia comprensibile e utile a chi ne usufruisce. Ma la domanda da un milione di dollari è: come fare? Come fare storytelling in maniera efficace? A quanto pare la soluzione è usare la regola dei 3 minuti. Valida a prescindere dal tempo effettivo che avremo a disposizione. L’avevi mai sentita?

Conoscenza, sintesi, chiarezza: come fare bene storytelling

È qualcosa che appartiene alla memoria collettiva: quando a scuola venivamo colti impreparati in un’interrogazione, il rischio “scena muta” era dietro l’angolo (ed anche in quel caso, comunque, i più furbi parlavano e parlavano girando attorno alle cose, sperando di fregare il prof di turno). Ma, quando invece l’argomento era ben conosciuto, altro che fiume in piena: quante volte abbiamo sentito i prof dire “vieni al punto?” E quante volte invece, guardando un film, siamo stati noi a pronunciare in prima persona la fatidica frase “mah, era meglio il libro”?

Il punto è uno: è facile raccontare bene una cosa parlando per ore. Scrivendo a lungo. Creando decine di slide. La difficoltà sta nel farlo in poche parole, pochi minuti, poche pagine, poche immagini. Non è un caso se, sui banchi delle superiori, il saggio breve era il più amato e temuto insieme: quintessenza del dono della sintesi. L’arma segreta per uno storytelling davvero efficace.

Sì perché, per quanto possa essere facile raccontare tutta l’analisi che abbiamo fatto infilando nella presentazione qualunque dato e grafico elaborato, la verità è che nessuno mai guarderà, leggerà, né tantomeno studierà 50 pagine di presentazione. È più probabile che domani, al nostro risveglio, gli asini volino in un cielo color arcobaleno. La necessità di essere brevi e concisi corrisponde alla necessità di riuscire a catturare l’attenzione dell’audience. Per questo motivo è importante non solo riuscire ad essere sintetici, ma anche sapere perfettamente quali sono i punti chiave del nostro discorso e l’ordine esatto con il quale esporli.

La regola dei tre minuti suggerita da Cole Nussbaumer Knaflic è proprio la strategia per imparare a fare storytelling in maniera efficace.

Come funziona la regola dei 3 minuti

La necessità è lampante: quando visualizziamo dati, dobbiamo essere sicuri di costruire uno storytelling breve ma incisivo, che contenga tutti i punti chiave, senza perdersi informazioni salienti, e che comunichi tutto ciò che c’è da sapere.

Per riuscirci, Cole Nussbaumer Knaflic, analista di dati ed esperta di data visualization, autrice di “Storytelling with data” (la Bibba di chiunque si occupi di data storytelling), suggerisce la regola dei 3 minuti. L’assunto di base è molto semplice: costruisci il discorso come se avessi a disposizione solo tre minuti per farlo (anche se poi, magari, ne avrai molti di più). E, aggiungiamo noi, ti accorgerai quanto è difficile riuscirci! Riuscire a condensare in pochi minuti ore, giorni o settimane di lavoro è un’impresa che sembra impossibile, ma che in realtà ha una condizione di esistenza molto importante: conoscere alla perfezione l’argomento di cui si sta parlando. Albert Einstein diceva “se non sai spiegarlo in modo semplice, non ne sai abbastanza”. Ed in fondo è così: quando si padroneggiano perfettamente i dati che si hanno in mano, è molto più semplice individuare i punti salienti e le informazioni davvero essenziali, separandole da quelle accessorie o addirittura superflue.

Per applicare la regola dei 3 minuti, la Nussbaumer suggerisce di partire con la creazione di uno storyboard. Il suo suggerimento è quello di progettare, prima di cominciare il lavoro, una struttura da seguire, un copione, una sorta di sceneggiatura per sommi capi. Carta e penna alla mano (il suo suggerimento è di usare i post-it: possono essere riposizionati all’infinito!), l’obiettivo è quello di tirare giù un progetto di racconto, procedendo per punti chiave: situazione di partenza, problema rilevato, dati emersi, possibile soluzione, e via così. Procedere in questo modo aiuta ad avere bene in mente fin dal primo momento il lavoro da fare fare: è lo scheletro, l’ossatura dello storytelling. Può essere poi ampliata ed approfondita a seconda delle esigenze, dello spazio e del tempo a disposizione, ma permette di tornare al nocciolo della questione in caso in cui il tempo si riduca improvvisamente. Non solo: consente di essere sicuri di inserire tutte le informazioni necessarie a far sì che l’audience possa capire il messaggio. La regola dei 3 minuti è, di fatto, il modo migliore per risolvere l’annoso problema di come creare uno storytelling perfetto.

Se poi il data storytelling e la presentazione dati sono il tuo pane quotidiano e ti interessa padroneggiarle al meglio, forse dovresti dare un’occhiata qui 

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Fabio Piccigallo

Un articolo scritto da Fabio Piccigallo

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